SCENARIO MACROECONOMICO Elaborato da CRISTIAN IGGO

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SCENARIO MACROECONOMICO
Elaborato
da
CRISTIAN IGGO
Iggo: vacanze al sole
Il Presidente Trump sembra volere tassi molto più bassi e un dollaro più debole. È una prospettiva politica. Se si realizzasse tale scenario, i premi per il rischio inflazionistico negli Stati Uniti potrebbero salire. Tuttavia, ci sono buone ragioni alla base della forza del dollaro. Gli interventi nei mercati valutari storicamente hanno prodotto risultati eterogenei e potrebbero essere poco avveduti, considerato il buon andamento dell’economia americana.
Un’escalation della guerra valutaria potrebbe sconvolgere i mercati finanziari, ritorcersi contro i premi per il rischio e alimentare ulteriormente l’incertezza per imprese e consumatori. Inoltre, non è detto che tali interventi abbiano successo. Spesso comportano delle perdite per i titoli del Tesoro e per le banche centrali.
Non così volatile
La volatilità realizzata dei tassi, dei mercati dei cambi, azionari e obbligazionari continua a essere intorno ai minimi storici. Negli ultimi anni, le impennate di volatilità sono state in genere di breve durata. Il costante sostegno delle banche centrali ha sempre fatto scendere la volatilità nei momenti di picco, spingendo gli investitori ad acquistare nelle fasi di debolezza del mercato. Tale approccio ha contribuito alla performance nei momenti in cui era difficile generare alpha attraverso posizioni direzionali sui e nei mercati.
Molti investitori credono che la politica monetaria e la disponibilità delle autorità a tagliare i tassi di interesse e a immettere liquidità continueranno ad avere la meglio, superando le preoccupazioni eco-politiche come la Brexit, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e la sostenibilità del rating del debito dell’Italia. I ricordi e le ramificazioni politiche del 2008-2009 sono ancora ben presenti, tanto da influenzare il comportamento di massa dei mercati finanziari. Le autorità non vogliono un’altra grave crisi finanziaria, gli investitori lo sanno. Unitamente al fatto che c’è abbondante liquidità inutilizzata, deve accadere qualcosa di veramente grave per far scendere persistentemente i mercati.
La volatilità dei cambi potrebbe aumentare?
In tale scenario, è interessante esaminare il mercato delle valute. Si è parlato di una possibile svolta politica negli Stati Uniti rispetto al dollaro, qualcuno ha persino suggerito che il Paese potrebbe intervenire per cercare di indebolire la moneta. Effettivamente il Presidente Trump ha detto che altri Paesi stanno “sfruttando gli Stati Uniti” attraverso le loro valute più deboli del dollaro. Quando il Presidente Draghi, nell’incontro di Sintra, ha lasciato intendere che la Banca Centrale Europea potrebbe allentare nuovamente la politica monetaria, il Presidente Trump lo ha citato come esempio dell’uso della valuta come strumento politico, lamentando il fatto che la Federal Reserve non sta tagliando i tassi e, per estensione, non sembra disposta a deprezzare il dollaro in linea con la debolezza delle valute estere. Questo indica che la volatilità del cambio potrebbe essere un po’ sottostimata.
Il dollaro
Il dollaro è forte da tempo. La divergenza tra i tassi negli Stati Uniti e nel resto del mondo è iniziata nel 2015. Tuttavia, i rendimenti obbligazionari hanno iniziato a prendere strade diverse nel 2012, quando la BCE introdusse la politica del “faremo tutto quanto necessario” dopo che la Federal Reserve aveva già iniziato il Quantitative Easing. Il dollaro si è rafforzato nel 2012 e poi ancora nel 2014. Quando il ciclo globale ha iniziato a sembrare più sincronizzato nel 2017, il dollaro si è indebolito, soprattutto rispetto all’euro, ma anche rispetto alla sterlina che salì molto dopo il referendum. Il dollaro ben presto risalì quando la banca centrale americana iniziò veramente a fare la differenza nei livelli relativi dei tassi di interesse.
I differenziali dei tassi di interesse non sono l’unico fattore che ha influito sui tassi di cambio bilaterali, ma sono importanti in periodi significativi, principalmente perché riflettono le divergenze delle condizioni macroeconomiche. L’economia statunitense è cresciuta molto in ogni altro ambito negli ultimi anni e nel 2018 ha beneficiato del sostegno fiscale che ha fatto salire ancora i rendimenti obbligazionari. Di conseguenza, il dollaro è salito molto rispetto all’euro e alla sterlina.
Cina e tassi di cambio
Certamente ci sono membri dell’Amministrazione che credono che il dollaro sia troppo forte e che questo rappresenti un problema per l’economia americana. Questo può essere collegato alla politica commerciale internazionale in genere, e nei confronti della Cina in particolare. Il rapporto tra dollaro e yuan riflette le tendenze del dollaro più in generale. Lo yuan ha guadagnato rispetto al dollaro USA nel 2017, ma l’anno scorso ha perso il 10% circa su base bilaterale. Sembra che gli Stati Uniti siano convinti che la Cina mantenga volutamente la moneta debole per avere un vantaggio competitivo. C’è chi ha accusato Pechino di aver indebolito lo yuan per compensare gli effetti dei dazi americani.
In realtà, lo yuan scambia su un livello molto più alto rispetto al dollaro se lo confrontiamo con l’andamento negli ultimi 25 anni. La debolezza della valuta cinese, se possiamo applicare una normale analisi, ha coinciso con il rallentamento della crescita e un brusco calo dell’avanzo commerciale del Paese e un’accelerazione della crescita negli USA. Non ci sorprende. Tuttavia, ciò ignora gli aspetti politici, e la percezione che la posizione commerciale della Cina sia avvantaggiata rispetto agli Stati Uniti influenzerà la politica americana per un po’ di tempo.
È possibile intervenire?
Gli investitori non sanno come interpretare le dichiarazioni provenienti da Washington. Apparentemente, la Casa Bianca vuole che la Fed tagli i tassi (e lo farà a breve) e che il dollaro perda valore. Se il dollaro non si indebolirà autonomamente, c’è il rischio che gli Stati Uniti intervengano. I lettori più anziani che si ricordano quando gli interventi ufficiali sul mercato dei cambi erano più frequenti saranno scettici in merito alla capacità degli Stati Uniti di svalutare in modo unilaterale la propria moneta.
Primo, bisogna decidere quali altre valute acquistare e, per ragioni politiche e tecniche, probabilmente non sarà lo yuan cinese. Secondo, bisogna essere in grado di vendere abbastanza dollari americani da fare la differenza. La politica valutaria negli Stati Uniti spetta al Tesoro e lo strumento per intervenire sui cambi è il Fondo di stabilizzazione dei cambi. In questo momento il fondo ha un patrimonio di circa 95 miliardi di dollari, suddiviso tra SDR del Fondo Monetario Internazionale, titoli del Tesoro e valute estere, principalmente euro e yen. La componente in dollari è di circa 25 miliardi. Il Tesoro potrebbe vendere tutti i dollari e acquistare valuta estera. Potrebbe scambiare le posizioni esistenti in valuta con la Fed in cambio di dollari e vendere questi dollari. Potrebbe concordare con la banca centrale americana una linea di credito per vendere più dollari.
Ciascuna di queste opzioni appare sempre meno probabile, e non è chiaro se la Federal Reserve accetterebbe di stampare moneta per vendere dollari, soprattutto in una fase in cui la sua indipendenza è già sotto attacco. Per me, questo significa che un intervento da parte degli Stati Uniti per svalutare il dollaro è improbabile e, qualora accadesse, difficilmente sarebbe efficace.
Un gioco a somma zero
Un intervento sul cambio non coordinato avrebbe conseguenze. Se ciò porterà a un’egoista guerra valutaria, il rischio è che l’incertezza aumenti e che anche i premi per il rischio salgano. L’inflazione potrebbe salire, o almeno l’inflazione prevista. Sarebbe allora ragionevole puntare sui breakeven in caso di interventi frenetici sui cambi. È un gioco a somma zero. Qualcuno perderà e, secondo i dati storici, chi ha la peggio in questi casi sono le banche centrali o i ministeri del Tesoro che pensano di poter costringere il mercato ad accettare il livello “desiderato” per le valute.
Sterlina debole in caso di no deal
Il tasso di cambio euro/dollaro oggi non è molto diverso da quando la Fed alzò per la prima volta i tassi nel dicembre 2015. Dunque, se la Federal Reserve taglia i tassi, non c’è garanzia che il dollaro si indebolirà, soprattutto in vista di un allentamento da parte della BCE. Non possiamo escludere un allentamento monetario in Giappone o nel Regno Unito. Dunque, non sono convinto che vendere il dollaro sia la scelta migliore.
È più alto il rischio che la sterlina si indebolisca ancora quando inizierà una nuova era politica nel Regno Unito. Molto resta ancora da dire (e da fare) tra l’“incoronazione” di Boris Johnson a capo del partito conservatore (e quindi Primo Ministro) e la prevista scadenza per la Brexit di fine ottobre. Sia Johnson che il suo rivale Jeremy Hunt hanno flirtato con l’idea di un no deal. Nelle ultime due settimane molti hanno espresso preoccupazione in merito. Fattore importante, il mercato crede che un “no deal” farebbe male all’economia britannica, e se le probabilità che ciò accada salissero, potremmo assistere al tracollo della sterlina verso nuovi minimi. È possibile che si attesti al di sotto di 1,20 rispetto al dollaro o al di sopra di 0,95 rispetto all’euro. O almeno la volatilità potrebbe aumentare.
Incertezza
Una politica economica e monetaria ragionevoli non vanno necessariamente di pari passo con il populismo (pensiamo al recente licenziamento del presidente della banca centrale turca). In un mondo caratterizzato da politiche più estremiste si potrebbe fare ricorso alla manipolazione delle valute. In questo momento nessuno desidera una valuta forte e i costi della svalutazione non sono veramente riconosciuti in un contesto caratterizzato da una bassa inflazione.
Il tentativo di scavalcare i mercati fissando il prezzo internazionale della valuta è una politica difficile, soprattutto se è unilaterale. In questo momento non ci sono molte probabilità che si giunga a una politica valutaria coordinata tra i Paesi del G7, dunque se gli Stati Uniti agissero da soli, sicuramente subirebbero un contraccolpo e darebbero origine a un premio per il rischio negli strumenti in dollari che potrebbe durare a lungo. Credo che difficilmente succederà, ma di questi tempi non si può mai sapere. I tassi di cambio sono difficili da prevedere anche nei momenti migliori. È ancora più difficile nei momenti di incertezza politica. Ecco perché una strategia di copertura del rischio di cambio resta la decisione più logica per i portafogli obbligazionari internazionali.
Per il rotto della cuffia
Ho avuto la fortuna di trovarmi al Lord’s domenica scorsa per assistere alla vittoria dell’Inghilterra nella Coppa del mondo di cricket. C’era anche mio figlio che è diventato un supertifoso di cricket (forse è la sua reazione per aver trascorso il primo anno di Università a Los Angeles). Che giornata! La partita è stata eccezionale e l’atmosfera fenomenale. Il meglio di questo Paese. Una folla multiculturale che si è goduta la partita, rendendola ancora più spettacolare. È stata dura per i neozelandesi, ma la squadra inglese è stata fantastica e io sono molto felice per i due giocatori dello Yorkshire. Anche la squadra in effetti è un bel miscuglio, come è stato sottolineato dalla stampa. Sembrava decisamente di essere molto lontani dal dibattito nazionalista sulla Brexit. È stato bello festeggiare la vittoria dell’Inghilterra, e ancora di più rallegrarsi per il meglio di questo Paese, multiculturale, internazionale, aperto e amichevole, che sa organizzare eventi molto speciali. Ci auguriamo che duri a lungo.
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