Family Nation: da Bangkok a Firenze, ecco l’eCommerce di famiglia che conquista il crowdfunding italiano

Family Nation: da Bangkok a Firenze, ecco l’eCommerce di famiglia che conquista il crowdfunding italiano

di Matteo Castelnuovo – 02 novembre 2017
Rendere il mondo un posto migliore, più etico, più umano, grazie all’eCommerce. Sembrano parole difficili da associare al mondo del business eppure c’è chi ancora ci riesce. Anche in Italia, dove una volta tutto era collegato alla famiglia e dove, invece, oggi si sente solo parlare di startup. Un’ondata americaneggiante che ha coinvolto manager di ogni età e che, però ormai, appare  quasi come una bolla speculativa più che come una tendenza capace di portare davvero buoni frutti.

Emilia Mugnai e Aidan Cox, i fondatori di Family Nation

Così, stupisce, in questo mare di nuovi imprenditori di se stessi, trovare chi ha deciso di fare un passo indietro e ripercorrere quel filo d’Arianna che porta a ritrovare le origini del vero made in Italy, fatto di rapporti umani, qualità e dialogo con il cliente. È la storia di Emilia Mugnai e Aidan Cox, che da Bangkok sono tornati a Firenze per aprire una piccola media impresa a conduzione familiare, come si faceva una volta, per aiutare, in maniera innovativa, ma etica, i genitori di tutto il mondo nel reperire i prodotti giusti per i propri figli. Il progetto si chiama Family Nation e noi li abbiamo voluti incontrare per capirne meglio le logiche e le prospettive che proprio in questi giorni li hanno portati ad aprire una campagna di crowdfunding sul portale Mamacrowd, che ha già raggiunto il 700% di over funding e non accenna a fermarsi.

Emilia, come nasce il progetto di Family Nation?
«Diciamo che prende vita da lontano. Io ed Aidan ci siamo conosciuti a Kabul, tanti anni fa, quando ancora lavoravamo nel mondo dei diritti umani e giustizia per le Nazioni Unite. La nostra era un’attività frenetica e di grande responsabilità, nella quale ogni giorno interagivamo con centinaia di persone provenienti ognuna da paesi diversi. Poi, sempre per lavoro, ci siamo spostati a Bangkok e lì abbiamo avuto i nostri figli, Flavia e Tancredi. Proprio in quegl’anni, siamo entrati in contatto con altre famiglie con bambini piccoli e ci siamo accorti che anche loro, come noi, erano sempre alla ricerca del prodotto giusto da usare».

Quindi cos’avete fatto?
«Abbiamo iniziato a pensare di volerli aiutare. Di sfruttare le nostre competenze e conoscenze internazionali per rendere più semplice questa ricerca. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo scandagliato ogni canale a nostra disposizione, da quelli fisici a quelli digitali, cercando di capire se i conti sarebbero tornati, se avremmo avuto la possibilità di sostenerci una volta partiti».

Nel frattempo, però, continuavate a lavorare per le Nazioni Unite?
«È stato un anno davvero massacrante. Continuando a ricoprire il nostro ruolo ufficiale, nei nostri momenti liberi ci impegnavamo per trovare soluzioni a ogni eventuale problematica che emergeva nella costruzione del nostro modello di business. Alla fine ne è valsa la pena, ma che fatica».

La Pmi innovativa nata nel 2012 con sede a Firenze

Così siete riusciti a tornare in Italia?
«Quando passi tanti anni all’estero, non importa più lo stato in cui ti trovi. Ti senti una cittadina del mondo e questo basta. Inoltre, io, da brava italiana, non avevo troppa voglia di tornare in un Paese che tutti noi non riusciamo, a torto o a ragione, a considerare abbastanza solido ed evoluto da poter sostenere dei progetti innovativi».

Ha avuto ragione Aidan dunque?
«Si, era lui quello che più voleva tornare in Italia e devo ammettere, oggi, che ha avuto ragione e lo rifarei. Nonostante tutte le difficoltà tecnologiche che ci possono essere, come quelle dell’infrastruttura digitale che ancora scarseggia o della burocrazia eccessiva, l’Italia rimane un mercato in grande evoluzione, nel quale c’è realmente lo spazio e la possibilità di creare qualcosa di buono».