LA GRANDE ONDA OPPORTUNITA’ IRRIPETIBILE PER CHI SI FOSSE PREPARATO CON ADEGUATI CONSULENTI E GIUSTE RISORSE

 

 

The big one, la grande onda. I surfisti l’aspettano per anni.

 

Vale lo stesso per i migliori professionisti consulenti ed imprenditori attivi sul mercato finanziario e del commercio internazionale , che come il porcellino Jimmy nella storia dei Tre Porcellini e la Formica nella favola di Esopo si preparano da una vita per questo momento .

 

E quella che si è presentata dinanzi a loro il 16 marzo in Borsa , quando l’indice VIX per la prima volta ha toccato 84 punti, è stata la loro grande onda in un mese mai così agitato e, nella logica di opportunità irripetibili ed uniche . .

 

Un dato su tutti: quando le acque delle Borse sono tranquille l’indice della volatilità viaggia tra i 10 e i 15 punti.

 

Dal 19 febbraio la media del VIX è stata di 50 punti.

 

Le aziende soprattutto quelle di Piccole e Medie Dimensioni non si devono stupire se in tale contesto di emergenza sanitaria non riusciranno a sopravvivere in quanto sono almeno 20 anni che esistono segnali evidenti di ciò che a livello economico e finanziario si è verificato e le cui conseguenze si protrarranno per mesi e mesi .

 

In Italia si paga ora il conto di decenni in cui il motto è stato AZIENDA POVERA , FAMIGLIA RICCA .

 

Errore mortale è stato da parte delle Piccole e Medie Imprese italiane finanziare gli investimenti fissi con il capitale circolante facendo affidamento sui flussi di cassa depauperando così il Patrimonio Netto e la Solidità Finanziaria dell’ impresa .

 

La quasi totalità delle Piccole e Medie Imprese italiane dopo la crisi, avrà bisogno di aumenti di capitale e altri interventi per ripianare le perdite in quanto costrette dal 13 marzo scorso alla chiusura, a fronte della brusca frenata nel conseguimento dei ricavi, continuano a sostenere i consueti costi fissi.

 

Tale circostanza, oltre a generare squilibri di cassa nell’immediato, avrà un notevole effetto sul risultato d’esercizio 2020, che oltre a essere inferiore rispetto a quello atteso a inizio anno, in molti casi, potrebbe assumere segno negativo.

 

E una perdita consistente potrebbe anche comportare l’erosione del capitale sociale e far ricadere le società nella situazione prevista dall’articolo 2447 del Codice civile per le Spa e dall’articolo 2482-ter per le Srl

 

L’impresa italiana è tipicamente sottocapitalizzata e il socio fornisce capitale sotto forma di prestito.

 

Per colpire questo fenomeno ed evitare il concorso con i fornitori, la legge lo tratta come creditore subordinato (cioè viene dopo gli altri creditori).

 

Se si prevede invece, a fronte di nuova ricchezza apportata alla società, la sospensione temporanea della subordinazione del prestito dei socio e per il solo ammontare incassato dalla società si incentiva il socio a immettere finanza nella società.

 

Questo nuovo credito del socio non potrebbe comunque essere garantito con ipoteche o pegni per evitare che da subordinato diventi privilegiato e scavalchi i fornitori.

 

La stragrande maggioranza delle imprese a fronte di questa situazione saranno costrette – a causa del risultato negativo e del fatto che possiedono un patrimonio netto modesto , – a richiedere ai propri soci di versare denaro per ricostituirne il capitale.

 

Se questi non mettessero mano al portafoglio, si vedrebbero sfilare le aziende da chi ha i soldi per sostituirsi a loro e iniettare risorse fresche, facendo peraltro la parte del salvatore più che del compratore: e questo cavaliere bianco potrebbe spesso essere straniero.

 

Ulteriore scenario, nel caso non si verificassero questi primi due, è la messa in liquidazione o il fallimento, circostanze che rappresentano un vero e proprio impoverimento del sistema.

 

Il numero sotto i riflettori, per le future carenze patrimoniali, è di circa 42 miliardi di euro.

 

Dopo la crisi sanitaria, proprio per affrontare la richiesta di equity delle aziende, potrebbero aprirsi numerose operazioni di fusione ed acquisizione: sia aggregazioni tra gruppi industriali, sia apporto di capitale da parte di investitori finanziari.

 

È quanto emerge da un recente studio effettuato su di un campione nazionale formato da circa 445 mila società di capitali, piccole e grandi, con patrimonio netto positivo a fine 2018.

 

Il lavoro è stato effettuato per stimare l’ampiezza della voragine finanziaria aperta dal Covid 19 e capire se le risorse messe in campo dal Governo possano essere sufficienti per dare risposta alla crisi di liquidità indotta dal «lockdown» garantendo in tale modo la continuità delle aziende.

 

Secondo la ricerca il 22,5% delle società analizzate (pari a circa 100 mila società) registrerebbe perdite economiche nel 2020 tali da erodere completamente il patrimonio netto: determinando la necessità di un aumento di capitale.

 

L’ammontare complessivo di quest’ultimo risulta, appunto, pari a 42 miliardi di euro.

 

Questo valore mette in luce lo sforzo che dovranno mettere in campo gli azionisti e, al medesimo tempo, l’opportunità di valutare soluzioni contabili alternative, come le rivalutazioni degli asset di bilancio.

 

Quest’ultimo aspetto risulta di particolare importanza per garantire la sopravvivenza delle società e scongiurare il default delle 100 mila società individuate.

 

Queste ultime, complessivamente, hanno in bilancio debiti finanziari per 73,5 miliardi di euro, che se non rimborsati comporterebbero un sensibile aumento dello stock di non performing loan bancari, faticosamente ridotti sotto i 150 miliardi lordi rispetto al picco di 341 miliardi registrato nel 2015.

 

Se il processo di rafforzamento patrimoniale sarà un elemento imprescindibile per non causare default e dunque non impoverire il tessuto produttivo italiano, appare infine utile approfondire quale sarebbe l’impegno richiesto alle singole aziende.

 

Emerge che, in media, oltre il 47% delle aziende sarebbe chiamato ad un aumento di capitale inferiore a 50 mila euro mentre, dall’altro, il 7,2% dovrebbe mettere mano a risorse proprie per oltre 700 mila euro.

 

È evidente, pertanto, che le risposte non potranno che concretizzarsi con modalità diverse: aumento di capitale da parte degli attuali soci, apertura del capitale a terzi, alleanze e aggregazioni, unite a possibili soluzioni contabili di rivalutazione degli asset.

 

In questa ottica è possibile che, terminata la crisi sanitaria, ci sia spazio per operazioni di fusione e acquisizione sia tra gruppi strategici sia operazioni di ristrutturazione del debito con fondi di turnaround sia infine transazioni che porteranno all’ingresso nel capitale di operatori di private equity.

 

La metà delle società in deficit troverebbe soluzione con nuove linee di finanziamento di importo unitario inferiore a 50 mila euro.

 

Solo il 2% delle società (circa 9.200) avrebbe bisogno di linee di importo unitario superiori a 700 mila euro.

 

Tuttavia sarebbero proprio queste ultime società, che assorbirebbero la stragrande maggioranza delle risorse aggiuntive necessarie, oltre 76 degli 86,8 miliardi complessivi.

 

Tra i settori più colpiti, infine, il settore edile e immobiliare, il mercato automobilistico e dei trasporti, il settore del commercio in generale, che potrebbero essere quelli che più necessiteranno di aiuti finanziari.